martedì 6 dicembre 2016

LEZIONE DEL 7 FEBBRAIO - CORSO "Alla scoperta del Medioevo"

NOTA INFORMATIVA RELATIVA AL CORSO:

Gentile Corsista,
Le comunico che l’incontro per le lezioni “MANUALI E CONTENUTI DI STUDIO NELL’ALTO MEDIO EVO” del prof. MORRESI NAZARENO e “LA MACERATA MEDIEVALE” della prof.ssa TORRESI SIMONETTA , rinviato il 7 novembre a causa del terremoto, si svolgerà 
martedì 7 febbraio 2017 a h 15,
sempre presso l’auditorium dell’ITCAT, via Gasparrini 11.
La successiva lezione sarà poi il 15 febbraio.

Aggiungo un link in cui poter controllare le notizie sulla carta elettronica
In attesa di rivederci nel nuovo anno, invio sinceri e calorosi auguri di buon Natale e buone feste.

                                 prof.ssa Elisabetta Marcolini

venerdì 2 dicembre 2016

L’eredita’ Franco Carolingia nella personalità di Francesco di Assisi


Link del report sulla Conferenza del Prof. Giovanni Carnevale, tenuta a Palazzo Vallemani di Assisi, organizzata dalla Società Culturale "Arnaldo Fortini":

http://www.assisioggi.it/arte-cultura/leredita-franco-carolingia-nella-personalita-di-francesco-di-assisi-27483/


Intervento del Dott. Diego Antolini

Il Dott. Diego Antolini, cofondatore del "Gruppo The X-Plan", interviene nel corso della conferenza, organizzata dalla Società Culturale "Arnaldo Fortini", tenuta dal Prof. Giovanni Carnevale ad Assisi  presso Palazzo Vallemani.


giovedì 1 dicembre 2016

"STRADE ROMANE NEL PICENO" a cura di Graziosi dr. Nazzareno



Strade romane nel Piceno
Graziosi dr. Nazzareno

Sarebbe necessario un volume; si sintetizza, fidando nell’intelligenza del lettore.
Il Piceno preromano non era una landa selvaggia dove s’insediano popoli di origine indoeuropea. Asserzione troppo vaga.
Il Gallucci in Antichità Picene, 1786: molti e varj popoli vi ebbero stanza, e imperio… Aborigeni*, Siculi, Liburni, Enotrj, Ausoni, Peucezj, Umbri, Pelagi, Etruschi e Galli2 per siculi s’intendono quelli antichissimi, non i siracusani. 
I popoli italici del centro-sud Italia possedevano culture, conoscenze tecniche, e nozioni scientifiche superiori ed hanno fornito gli uomini per progettare e realizzare. La civiltà, la cultura, la scienza, il commercio hanno bisogno di vie per espandersi. Tre importani vie romane (o meglio preromane) sono chiamate SALARIA, tutte nelle Marche:
Salaria (SS 4) da Roma ad Ascoli Piceno;
Salaria Picena (SS 16 Adriatica) da Fano  a Giulianova;
Salaria Gallica (SS 78, SP 327 da Fossombrone ad Ascoli o Arquata  pedemontana).

Salaria (SS 4) (VIA DEL SALE?)
Roma Ascoli o Ascoli Roma?
Secondo la storiografia la Salaria (attuale SS 4) iniziava a Roma, Porta Salaria, Ponte SALARIO sull’Aniene, Sette Bagni, Passo Corese (SS 113), Rieti, fiume Velino, valico di Torrita (1000 m.), valle del Tronto, Accumoli, Arquata del Tronto, Quintodecimo, Acquasanta Terme, Ascoli Piceno, Castrum Truentinum.
Tito Livio “ab urbe condita” lib VII. 9 narrando di Brenno:… Galli ad tertium lapidem Salaria via trans pontem Anienis castra habuere. Dictator… in citeriore ripa Anienis castra posuit. Pons in medio erat… Tum eximia corporis magnitudine in vacuum pontem Gallus processit et quantum maxima voce potuit "quem nunc" inquit "Roma virum fortissimum habet, procedat agedum ad pugnam, ..."
 10. … tum T. Manlius L. Filius,… si tu permittis, volo ego illi beluae ostendere… me ex ea familia ortum quae Gallorum agmen ex rupe Tarpeia deiecit." … Iacentis inde corpus … uno torque spoliavit,... Torquati cognomen auditum; Dictator coronam auream addidit donum...
Quanto descritto da Tito Livio é stato così tradotto, nel 1765, da Roisecco che fa espresso riferimento a Baronio, Bosio, Nardini e Grevio: “li Francesi avevano posto li loro steccati all’Aniene… un Francese di grandezza singolare di corpo si avanzò, provocando a singolare battaglia… Tito Manlio… “faccio vedere io a quella bestia, che discendo da quella famiglia che discacciò l’esercito Francese dalla città Tarpeja”… ferito il Francese, l’uccide e gli leva il collaro dal collo, per il che prese … il nome di Torquato3, ma… anche una corona d’oro4. Nel museo di Ancona é visibile l’ansa di Treia, di un grande scultore piceno, che filma l’episodio

Tito Livio fa iniziare la Salaria da Roma e correttamente pone il ponte salario a 5.5 Km. Ma questa asserzione contrasta con la realtà delle città miliari: Quintodecimo (15 miglia, picene o romane, equivalgono a 22 Km) non si trova a 22 Km da Roma. Con Ascoli Piceno la distanza è corretta; quindi inizialmente la salaria non partiva da Roma e non raggiungeva il mare. Probabilmente la Salaria era una via commerciale picena. Iniziava dalla città di Ascoli Piceno e la collegava con la Sabinia (Rieti) e l’Etruria, per esportare manufatti raffinati e armi costruite con acciai di qualità eccezionale (vedi Arduino Medardo). Poi, romanizzata e classificata prima via consolare, arrivava all'Adriatico con partenza da Roma.
Per tutti (o quasi) Salaria è la via del sale: lo hanno detto gli storici con la “s” maiuscola, pur divisi se fossero i Romani a importare il sale piceno o i piceni a commerciare il sale romano. Sembra una storiella battezzata da certezza.
Non conosciamo l’orografia Picena di 3000 anni fà. Ma anche dai ritrovamenti costieri, si deve dedurre che il paesaggio del medio adriatico non sia stato molto diverso dall’attuale, difficilmente idoneo alla costruzione di grandi ed efficienti saline (esclusa la modesta Sentina probabile salina dell’Abazia di s. Eutizio V sec d C).
L’Abate Millot, nel 1777 (in conformità a molti storici romani) relativamente alle opere di Anco Marzio, scrive: ” fabbricar fece il porto ad Ostia all’imbocco di quel fiume; scavar fece saline sulla spiaggia del mare; e al popolo distribuì la maggior parte del sale che se ne ritrasse…”; quindi il sale abbondava a Roma.
I romani forse erano un pò buzzurri ma certamente non erano scemi. Non avrebbero percorso 140/150 miglia e valicato monti per trasportare (via terra) tonnellate di sale, quando avrebbero potuto approvigionarsene a poca distanza (via acqua); il loro Tirreno con spiagge piatte, era ed è più a sud, più idoneo a più vicino a Roma.
Per tutti questi motivi dovrebbe risultare ovvio che la Salaria non poteva essere, per antonomasia, la via del sale, pur non potendosi escludere trasporti sporadici. Anche se Plinio il vecchio, (Como, 23 – Stabiae, 25 agosto 79 eruzione del Vesuvio), in Naturalis historia, XLI, 89: « ... sicut apparet ex nomine Salariae viae quoniam illa salem in Sabinos portari convenerat…”  che si dovrebbe tradurre: « ... come sembra dal nome della via salaria, perché attraverso essa conveniva portare il sale presso i sabini”. Altri hanno tradotto “… così chiamata perché attraverso questa i Sabini trasportavano il sale dal mare».  Da qui la definizione di via del sale, come via di scopo. Non risulta che fossero i Sabini a commerciale il sale e ancor meno che tutta la Salaria fosse destinata solo a quell'uso. Per opportuna conoscenza si riporta la traduzione del brano di Plinio tradotto da Lodovico Domenichi e pubblicato in Venezia da Giuseppe Antonelli nel 1844: “…e  risveglia e invita 1’appetito in tutti i cibi, sicché molto bene si distingue anche in mezzo a infinite vivande. Per questa ragione il garo è molto ricerco. Oltra ciò, il bestiame grosso e il minuto è grandemente invitato a pascere dal sale, il qual fa loro dovizia di latte, e molto grazioso e gentile il cacio, che se ne fa. Certamente dunque quella vita che ha dell’umano, non può essere senza sale; ed è elemento tanto necessario, che ancora il suo gusto passò a‘ diletti dell' animo. E perciò tutte le piacevolezze, arguzie e molti allegri sono chiamati sali. Interponsi ancora agli onori e alla milizia, e di qua han nome i salarii, e fu di grande autorità appresso agli antichi, come si vede nel nome della via Salaria, così detta, perché per essa si portava il sale a’ Sabini. Il re Anco Marcio diede al popolo sei mila moggia di sale ne’ doni ch’ei faceva al pubblico, e fu il primo che ordinò le saline. Varrone dice che gli antichi usarono il sale ancora in luogo di vivanda, e che le più volte mangiavano il pane col sale e col cacio, come si di mostra per proverbio. Ma sopra tutto l’autorità sua si conosce ne’ sacrificii, perciocchè non se né fa niuna senza la poltiglia insalata.”

Salarie: Picena e Gallica

Salaria Picena (SS 16 Adriatica) da Fano a Giulianova, attraversa le numerose città costiere.
Salaria Gallica (SS 78 / SP 327), quasi parallela (circa 30 Km) alla Salaria Adriatica, ristrutturata da Marco Ottavio Asiatico. Percorso comunemente accettato: da Forum Sempronii, Suasa, Ostra, Aesis (Jesi), Ricina (Macerata), Urbs Salvia, Falerio, Macchie di S. Ginesio, S. Maria di Pieca (Pian di pieca), Sarnano, Amandola, Comunanza, Croce casale ad Asculum.
Forse ci sono due inesattezze: 1) il passaggio per Falerio la rende inutilmente più lunga e impervia; probabile diverticolo o callis; 2) da Croce Casale si raggiunge Ascoli, ma più corretta la direzione per Arquata via Castro (con molte sorgenti) e Montegallo,. Gli eserciti in marcia hanno bisogno di punti di sosta (Castrum). Un Castro vicino a Montegallo è illuminante.
Fossombrone è vicina ai siti di reperimento dei Bronzi di Pergola (dai quali si desumere la ricchezza e la cultura del luogo) e delle Tavole Eugubine: il "più importante testo rituale di tutta l'antichità classica”5  per i sacerdoti del culto di Giove. Il luogo esatto è ignoto: per alcuni sarebbe il teatro romano di Gubbio, per altri, più coerentemente, il tempio di Giove Appennino, tra Scheggia e Cantiano, non lontano da Fossombrone e Gubbio.
Il prof. Giovanni Rocchi, paleo epigrafista, le ha decifrate: sono scritte in piceno antico o umbro piceno. Nella tavola 1.b.10-45 è codificato il rito dell’Armilustrum dei Salii, lustrazione (purificazione) dell’esercito. Inizia con il vaticinio dal volo degli uccelli, poi disciplina lo schieramento dell’esercito “per curie e per centurie”, “per tre volte si giri intorno, si preghi (Giove e Marte)”, codifica i sacrifici, “…ai Fontanelli si sacrifichino a Marte tre verri rossi o neri…, alla Fortezza… tre porcelle rosse o nere… le si consacri con il rito dell’insaccatura…, si producano insaccati neri e bianchi”…, “siano presenti prodotti della terra…, tre vitelle… in Aquilonia… tre giovenche mature” e infine “L’intelligenza di Tito Tazio fece nel suo questorato alla liturgia”. Al gran numero dei sacrifici seguiva il ricco convivio: sei suini e tre manze. Non deve quindi destare meraviglia che per banchetto Saliare s’indenta un convivio ricco e sontuoso (forse un’abbuffata) con giustificazioni religiose, che fa scrivere a Q. Orazio Flacco: Odi; I, 37:

Nunc est bibendum, nunc pede libero
pulsanda tellus; nunc Saliaribus
ornare pulvinar deorum
tempus erat dapibus, sodales
Ora si deve bere, ora con piede sciolto
 far vibrare la terra; ora all’uso dei Sali
è stato addobbato l’altare degli dei
con vivande, o compagni

Salii non potevano essere solo i nobili sacerdoti custodi dei 12 Ancili sacri (scudi lunghi, ristretti nel mezzo); intorno a Fossombrone c’erano curie e centurie, il generale Publio Cornelio Scipione era salio. Si dice che Salii derivi da saltare, per l’andatura saltellante nelle processioni sacre, al canto di Carmina Saliaria; sembra di sentire il suono delle armi sugli ancili al ritmo ancestrale del salterello(?).
Conclusione
  Se:
·     nelle Marche i Sali erano più numerosi di quanto si creda;
·     il nome delle strade romane individua anche i popoli di destinazione: via Latina, via Aquitania;
·     l’attuale SS 4 non è la via del sale;
·     Urbs graeca est Ancona scrive il greco Strabone;
·     Salario è il quarto quartiere di Roma, indicato con Q. IV;
·     le Marche romane sono divise in “Regio V: Picenum” e “Regio VI: Ager Gallicus”;
·     le tre Salarie chiaramente individuano un territorio intensamente abitato;
·     Tito Tazio ha prescritto il rituale dell’armilustrium, il più importante rituale ottobrino dei Salii;
·     i primi Sali erano della tribù Taties, sabini, molto prima di Numa Pompilio e di Tullo Ostilio.
·     sono esistiti Sali, Piceni e Galli;
·     i Sali (aggettivo saliario/a) erano anche detti Salluvi (aggettivo salluvio/a);


ci perseguita il dubbio.

Perché no SALARIA come via dei Sali da via Sal(i)aria?
Perché no Urbisaglia da urbi(s) sal(lu)via o urb(s) salia (in dialetto Urbisaja, come sostengono alcuni)?
Perché no Salaria Comune, Picena e Gallica;
Perché no Sali Piceni sulla costa e Galli Sali nelle vallate pedemontane delle Marche?


*  molti studiosi di antichi popoli affermano che Sali e Aborigeni erano della stessa stirpe.
 1 Siculi: citando Ellanico: “Stirpe antecedente la guerra di troia”, Filisto 80 anni prima; nel Piceno dal 786 al 510 prima di Roma. I siculi di Colucci sono greci di stirpe gallo salica (gallogreci dei vecchi dizionari).
2 Galli: dal greco Galatai o celtico gal- potere, forza o da kelh- essere elevato(Wikipedia). Colucci nota 132, relativa al generico nome dei galli… i salluvi erano gli stessi popoli che da altri si chiamano salj o salienti. Il Bacci, citando M. P. Catone e Barroso, essenzialmente conferma. Salyens o Salluviens degli storici francesi. N. Tommaseo 1924, V IV, pag. 994: Galli: i Sacerdoti di Cibele (Iside, Dea Madre); onde le affinità con Cureti, Coribanti e Salii che assorellavano Creta e Troia con Roma. A pag. 995 troviamo:”Gallogreci…di gallo e greco. È in  Cicerone – Potrebbesi Gallogreci dire gli abitanti delle Gallie di greca origine”, “Galata. di Galizia nella Natolia”. Superfluo ricordare che la statua del Galata morente era anche detta del Gallo morente.
3 Per i grandi guerrieri piceni, il torques (collaro) era un importante distintivo militare: lo stesso T. Livio nelle Deche, riferendo ad un bottino di guerra, così scrive: …58 segni militari e più speglie militari galliche furono prese e torque d’oro e armille in grandissimo numero….  
4 Desta curiosità la traduzione di grandi storici del 1500 / 1600: in due paginette (11x16 cm) ben 11 volte scrivono Francesi riferendosi ai galli di Brenno.

5 Devoto

martedì 29 novembre 2016

Popoli antichi e Correnti superficiali dell’Adriatico del Dott. Nazzareno Graziosi

Popoli antichi e Correnti superficiali dell’Adriatico
di Nazzareno Graziosi




Le Marche e la costa occidentale dell’Adriatico sono, da millenni, porto di arrivo: la storiografia antica lo propone, quella moderna non lo esclude. Il Gallucci in Antichità Picene, 1786, afferma: molti e vari popoli vi ebbero stanza e imperio, tra essi novera: Siculi (quelli antichissimi non i siracusani – Italo compreso), Liburni, Enotrj, Ausoni, Peucezj, Umbri, Pelagi, Etruschi e Galli. Per Ellanico i primi erano: “Stirpe antecedente la guerra di Troia”, Filisto 80 anni prima. Pierfrancesco Giambullari (Firenze, 1495 – Firenze, agosto 1555) scrisse “Istoria dell’Europa dall’800 al 913” dove leggiamo: “…dopo la guerra di Troia, uno nipote di Priamo, chiamato Franco, fattosi capo di una gran parte che vi erano campati, se ne venne nel mar maggiore…”. Non sappiamo di Franco e del mar Maggiore che doveva essere l’Adriatico, ma potevano esistere collegamenti tra mar Nero, mar Caspio, Volga e Danubio. In ogni caso questo storico accetta grandi trasferimenti via acqua.
Durante la mia vita di dirigente pubblico ho effettuato numerosi controlli su animali spiaggiati e ho potuto costatare che i luoghi di rinvenimento cambiavano di mese in mese. Lungo il litorale di Porto Sant’Elpidio abbiamo anche raccolto una tartaruga che 11 mesi prima era stata identificata, con una targhetta metallica sul carapace, nel golfo del Messico. L’apparato intestinale era completamente vuoto: morta per inedia, era stata trasportata dalla corrente. Mi sono convinto della necessità attivare studi delle correnti marine anche nell’ottica della prevenzione di malattie esotiche. Non ho trovato aiuti e le mie capacità non hanno oltrepassato il reperimento delle carte delle correnti della Marina militare; ma per l’argomento di cui trattiamo sono ampiamente sufficienti.
I nostri uomini di mare raccontano di numerosi Slavi approdati, nei primi anni 1950, sulle coste Marchigiane, dopo essere fuggiti in barca dalla dittatura comunista di Tito. Giorgio Cingolani, pubblicato da Mursia nella raccolta “Adriatico, storie di mare e di costa”, racconta la fuga di Sminian con la moglie e due amici, su una barchetta a remi, partito in prossimità di Murter, puntando la prua su Civitanova. Dopo circa 30 ore prese terra a Porto d’Ascoli, dove gli sbarchi, in estate, erano molto numerosi. Certamente Smilian e la tartaruga non potevano arrivare in così breve tempo nelle Marche se non aiutati dalle correnti marine superficiali, il cui flusso principale sulla costa slava spinge verso nord e su quella italiana verso sud.
 La barca di Sminian non era certo molto più evoluta di quelle di cui potevano disporre popoli dell’era preromana. Anche le correnti superficiali dell’Adriatico non potevano essere molto diverse dalle attuali: esse sono direttamente correlate alle maree (influsso della luna, del sole e di pianeti), al punto anfidromico, (intorno al quale la marea ruota in senso antiorario), alle masse d’aria sull’acqua e in particolare a densità, temperatura, evaporazione del mare e alla quantità di acqua dolce immessa. Questi dati non sembrano significativamente variati nei millenni; se così non fosse stato, la storia avrebbe riferito del cataclisma, dell’impaludamento e dell’invivibilità dei territori circostanti. Da quanto sopra e dalla visione delle carte delle correnti superficiali adriatiche, con particolare attenzione a quelle circolari (variabili con le stagioni, con il loro moto antiorario consentivano e consentono ai naviganti esperti di giovarsi di esse nelle loro rotte), è evidente che Colucci e gli altri storici siano attendibili. Molti nobili popoli sono venuti nelle Marche, lasciando segni della loro civiltà, cultura, scienza, tecnologia, e delle loro fedi religiose.

Oggi non vogliamo vederlo!


lunedì 28 novembre 2016

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 4


L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 3

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 2

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 1a

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.


Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 1

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.



venerdì 25 novembre 2016

riportiamo da :GOODMORNINGUMBRIA

L’EREDITA’ FRANCO – CAROLINGIA NELLA PERSONALITA’ DI FRANCESCO


diegodi Francesco La Rosa
Alberto Morresi, direttore del Centro Studi San Claudio introduce in anteprima su Goodmorning  Umbria la conferenza “L’Eredità Franco-Carolingia nella personalità di Francesco” organizzata dal Centro Studi San Claudio in collaborazione con la Società Culturale “Arnaldo Fortini” che ospita l’evento presso Palazzo Vallemani in Assisi.
1) Che cosa significa dirigere il Centro Studi San Claudio?
E’ piacevole perché ci si trova in mezzo a gente appassionata del proprio territorio e affascinata dalle teorie di Giovanni Carnevale che danno nuovo lustro all’area Picena.
2) Le tesi del Prof. Carnevale, che impatto potranno avere sul Piceno e sulla storia d’Europa se venissero riconosciute a livello accademico?
Sarebbe una rivoluzione importantissima perché  rimetterebbe in gioco tutto quanto abbiamo fino ad oggi conosciuto dell’Europa e del Piceno. Significherebbe accettare l’idea che il Medioevo Piceno era il fulcro di tutte le attività politico-culturali e militari tra Longobardi, Papato e Impero d’Oriente.
3) Cosa si aspetta dall’evento di domani in Assisi?
Mi auguro che le tesi del Prof. Carnevale vengano prese in considerazione dalla nomenclatura degli storici e non rifiutate a priori come purtroppo è sinora accaduto.
Il Prof. Giovanni Carnevale ha dedicato gli ultimi trent’anni allo studio dell’Alto Medioevo
Piceno ed ha pubblicato con cadenza biennale undici volumi, sostenendo l’ardita tesi che, in quell’epoca storica, i Franchi nel 715 d.C. si siano stanziati nel Piceno, cambiandone il nome in Francia (quando la Gallia aldilà delle Alpi conservava l’antico nome romano). La tesi comporta anche l’affermazione, sostenuta da valide prove, che i carolingi Carlo Martello, Pipino il Breve e Carlo Magno abbiano posto in Val di Chienti la loro sede, prima al rango di centro del regno, poi, sotto Carlo Magno, di impero. Carnevale, assieme al suo fido collaboratore Domenico “Mimmo” Antognozzi ha seguito l’evoluzione storica dell’Alto Medioevo e continua a raccogliere nuove prove a sostegno delle sue tesi. Molti dei sui ex-allievi sono oggi membri del Centro Studi San Claudio al Chienti.
Diego Antolini, portavoce del Gruppo The X-Plan, interverra’ durante la conferenza per spiegare come il suo gruppo di ricerca si sia avvicinato alle tesi del Prof. Carnevale e stiano lavorando insieme per divulgare e informare le persone su questo nuovo scenario storico.
Il Gruppo The X-Plan ha pubblicato quest’anno tre articoli sulla rivista nazionale Enigmi della Storia (Zona Franca Edizioni, Roma): “Seculum Obscurum Rivelato”, “Macerata Carolingia,  questione critica” e “Seculum Obscurum Rivelato: la tomba di Carlo Magno e’ a San Claudio?”
La conferenza si terrà a Palazzo Vallemani in Via San Francesco 12, Assisi alle ore 17:00

martedì 22 novembre 2016

Pubblichiamo una relazione ricevuta del Dott. Piero Giustozzi

Fatti misteriosi a San Claudio durante l’occupazione tedesca (1943-1944).
                                     
                                                            

Wolfgang Hagemann fu un famoso studioso del Medioevo, principalmente delle relazioni intercorse fra la dinastia degli Hohenstaufer e la città di Jesi e alcuni centri comunali del fermano e del maceratese. Già nel 1937 ne aveva visitato gli archivi storici senza essere controllato. Durante l’occupazione tedesca, a San Claudio, oltre ad un contingente di militari tedeschi, una importante delegazione di alto livello ispezionò la chiesa. Non sappiamo se per disposizione di Hagemann o dallo stesso guidata. Cosa cercava e cosa ha portato via? Mistero. Mistero che aveva eccitato la curiosità del giovane parroco don Benedetto Nocelli da indurlo a chiedere, nei primi anni Sessanta, alle persone più anziane notizie sulla famosa mummia  e su altri fatti strani avvenuti durante l’occupazione tedesca. Mistero che tenteremo di chiarire.
Lino Martinelli (1923) ricorda, che durante le incursioni aeree delle forze alleate sulla tratta ferroviaria Civitanova – Tolentino, la popolazione di San Claudio trovava un sicuro rifugio nella chiesa, con la certezza che non sarebbe stata colpita.
Di quel periodo turbolento e tragico, le fonti bibliografiche e documentali, le testimonianze,  sebbene lacunose e talvolta contraddittorie, ci permettono di proporre con una certa attendibilità gli avvenimenti e di avanzare alcune ipotesi interpretative. Abbiamo tratto informazioni dal manoscritto inedito Vita vissuta del dott. Costantino Lanzi, primo sindaco di Corridonia dopo la Liberazione, da L’ultima guerra in val di Chienti (1940-1946)di Aldo Chiavari, da Guerra ai nazisti il racconto di un patriota chiamato “Verdi” di Mario Fattorini, dai documenti del Cln comunale, da varie testimonianze, le più significative quelle di don Benedetto Nocelli, parroco di San Claudio dal 1962 al 2011, di Claudio Principi e dei nipoti di don Giovanni Michetti, pievano e parroco di San Claudio dal 1923 al 1956.

A supporto della nostra ipotesi, brevemente proponiamo qui soltanto le uccisioni di soldati tedeschi, tralasciando gli altri avvenimenti.
Il ten. Mario Taglioni (1918) era il comandante partigiano di Corridonia, Mogliano e Petriolo.
Dopo l’inutile assassinio del fascista Goliardo Compagnucci per mano di Guglielmo Palombari, (rappresaglia della milizia fascista evitata per l’intervento del segretario del fascio locale), le azioni d’attacco dei partigiani si concentrano nel mese di giugno 1944, quando ormai è imminente dell’arrivo dell’armata polacca.
Assaltano nella zona di Cigliano una colonna tedesca. Tre soldati uccisi. Mario Taglioni da solo uccide nel campo d’aviazione di Sarrocciano una sentinella tedesca, asporta parti di una mitragliatrice e taglia  i fili della linea telefonica.
Guglielmo Palombari ( Gugliè de Panara) accoppa a casa Spalletti, con un colpo alla nuca, un soldato tedesco intento a suonare il pianoforte. Carica il cadavere su una carriuola in uso ai muratori e lo fa scomparire. Un altro tedesco viene ucciso il 19 giugno sotto il ponte di Chienti. Al riguardo non esistono altre informazioni. Un soldato tedesco di guardia al comando tedesco installatosi nella scuola di San Claudio, situata lungo la nazionale e vicino al mulino Franceschetti, di notte è ucciso da due sedicenti partigiani di Corridonia. Su questo delitto, per molti aspetti emblematico della guerra civile, non esiste documentazione. Ne siamo, tuttavia, venuti a conoscenza per la testimonianza dei fratelli Foresi, allora poco più che ragazzi. Storia che racconterò nel prossimo libro.
Per queste uccisioni non si hanno rappresaglie da parte del comando tedesco. Per l’uccisione della sentinella della scuola, il comando tedesco si astenne avendo ottenuto prove incontrovertibili della non colpevolezza degli abitanti della zona. Più complessa la questione relativa all’uccisione della sentinella di Sarrocciano. La rappresaglia fu evitata grazie ai buoni rapporti tra la popolazione della contrada e i soldati che compresero come l’attacco notturno fosse da attribuirsi ad elementi partigiani. Gli agricoltori della tenuta di Sarrocciano ricordano e sottolineano infatti la forma di pacifica convivenza tra le loro famiglie i reparti germanici costituiti in maggioranza da elementi di religione cattolica…
Si registra un’altra uccisione di un soldato tedesco sempre nel mese di giugno. Claudio Principi ( ci riferì di sapere il nome dell’autore del delitto, che mai però avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura), don Benedetto Nocelli, i nipoti di don Giovanni Michetti hanno affermato che il sacerdote riuscì a evitare una rappresaglia perché convinse il comandante tedesco a rispettare il quinto comandamento non uccidere.
Non è possibile con esattezza accertare se questo sia un nuovo delitto o faccia riferimento agli altri.
Certamente, così come riferita da più testimoni, appare verosimile la motivazione di carattere religioso.
Il ragguardevole interesse, tuttavia, di Hagemann e delle gerarchie tedesche per l’abbazia di San Claudio e per le ricerche effettuate negli archivi dei nostri comuni ci suggeriscono un’ipotesi diversa.
Nei lavori di restauro del 1924-1926, sotto l’altare della chiesa fu rinvenuto la salma mummificata di un guerriero dai capelli biondo rossicci e con a fianco una spada. Don Giovanni Michetti, in quel periodo pievano di San Claudio, dà testimonianza scritta del suo ritrovamento, ma non sa dove sia stata portata. Ed è una grossa bugia. Sapeva benissimo, come la maggior parte dei parrocchiani, dove era stata deposta. Le testimonianze, poi, concordi di almeno tre giovanotti del tempo, ripetute infinite volte alle persone della zona e giunte fino a noi, hanno indicato il luogo esatto dove trovarla: vicino alla prima colonna a destra della chiesa. Anzi ne hanno perfino indicato il punto preciso.
La nostra ipotesi è che don Giovanni Michetti  abbia potuto impedire la rappresaglia non tanto perché il comandante tedesco era un fervente cattolico quanto bensì perché gli aveva consegnato la mummia. Può sembrare una ipotesi suggestiva, ma non meno credibile di quella fondata sulla magnanimità, ispirata da motivi religiosi, del comandante tedesco. Le memorie testimoniali di don Giovanni sono pressoché inesistenti. Quella dettata a don Benedetto negli anni Sessanta lascia intendere la volontà di negare una verità scomoda.
Un altro tragico fatto rende più credibile la nostra ipotesi. Il 22 giugno 1944 a San Claudio ( i polacchi erano il giorno precedente entrati a Corridonia) il siciliano Gaetano Paci ex paracadutista viene fucilato dal comando tedesco. Costui aveva trovato una sistemazione presso la famiglia Re, che conduceva a mezzadria un terreno di proprietà Olivieri di Sarrocciano.  Gaetano, detto anche Salvatore, aveva familiarizzato con i tedeschi, che presidiavano l’area del costruendo campo di aviazione.
Intercettato da una pattuglia tedesca fu fermato e perquisito: gli furono trovate una bussola militare e l’uniforme da gustatore. Condotto presso il comando, a S. Claudio, dopo un sommario processo fu condannato alla fucilazione, avvenuta la sera stessa della cattura, poco lontano dalla chiesa, dietro la casa di Martinelli. Riferiscono poi le testimonianze e le fonti documentali: A nulla era valso il tentativo di evitargli la fucilazione effettuato dal parroco don Giovanni Michetti, bruscamente allontanato dai tedeschi.
Il comandante quindi non era più quel fervente cattolico convinto da don Giovanni Michetti ad evitare addirittura una rappresaglia? Forse nel frattempo era cambiato.  Ma a distanza di pochi giorni?
C’è ancora un’ultima annotazione. L’Iriae nel settembre del 2014 ha effettuato un carotaggio interno alla chiesa in un punto in cui il GeoRadar aveva indicato un vuoto sul lato destro della chiesa, più precisamente nel punto dove era stata deposta la famosa mummia. A circa un metro di profondità la telecamera ha confermato la presenza di una larga camera rettangolare con volta a botte riempita di ossa umane. Non si è riusciti, tuttavia, a distinguere la presenza di materiale di diversa tipologia. La mummia quindi non c’è. Ma lì era stata posta nel 1925.
Non siamo depositari di alcuna verità, ma le tesi del prof. Giovanni Carnevale e di altri studiosi che ripropongono dell’Alto medioevo una storia profondamente diversa da quella tradizionale, le ricerche dei tedeschi, prima durante e dopo il secondo conflitto mondiale, per scoprire nella nostra terra le gloriose origini della loro nazione, impongono una seria riflessione.   
    

                                                                       Dott. Piero Giustozzi

sabato 19 novembre 2016

Il "Volto Santo" di Manoppello a cura di Albino Gobbi dalla "La Rucola"

Da "La Rucola" notizie da Macerata


Il “Volto Santo” di Manoppello
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di Albino Gobbi, del Centro Studi San Claudio

Il più grande capolavoro di tutti i tempi, se fatto da mano d’uomo, si trova a soli 100 km da Macerata, a Manoppello, vicino Pescara: si tratta della “Veronica Romana” detta, in Abruzzo, “Volto Santo”. Stiamo parlando dell’immagine di Cristo, impressa, senza i pigmenti tipici della pittura, su un piccolo fazzoletto di bisso marino. Questo tessuto preziosissimo, conosciuto da migliaia di anni, si ricava dalla Pinna Nobilis, gigantesca cozza alta più di un metro che rimane attaccata alla terra sotto il fondale marino grazie a una peluria da essa prodotta, che appunto viene utilizzata per ottenere un filo sottilissimo.

La descrizione
L’immagine è come una diapositiva che ha un davanti e un rovescio. Il rovescio è l’immagine vista in uno specchio. Ponendo il velo contro la luce l’immagine sparisce, rimane solo stoffa bianca ma nella parte in alto fuori dalla figura si nota un diverso tipo di tessuto. Si può addirittura leggere un libro attraverso l’immagine. La stoffa è molto antica, con una superficie ruvida, ma da un momento all’altro la stessa stoffa appare con una tessitura finissima, trasparente, splendente. Il volto umano che si vede può essere con un colorito intensissimo e delineato con molta precisione nel disegno dei capelli (ci si trova davanti una immagine che appare compatta in una tonalità scura di un ocra a tratti verdeggiante come nelle icone russe) o si può vedere un tessuto trasparente tanto è sottile. Gli occhi sono di un bianco intenso, con uno sguardo gentile, c’è come un sorriso nell’espressione. Questo Volto diventa ancora  più  vivo  sotto  i raggi ultravioletti o quando la luce passa dietro e assume un aspetto fluorescente, si vedono delle macchie che sembrano graffi sulla pelle, sulla fronte, sulle guance. Anche il bianco degli occhi, normalmente chiarissimo, e le palpebre, sotto una tale illuminazione, mostrano delle macchie strane. Guardando i capelli si nota che l’intensità del colore è la stessa vista da entrambe le parti. Il volto sul Velo è perfettamente sovrapponibile al volto sulla Sindone: il Velo di Manoppello e la Sindone sono i modelli per le raffigurazioni di Cristo.

La storia
Raccontare come il Volto Santo sia giunto a Manoppello è come raccontare la trama di un romanzo giallo. Iniziamo dal 705 quando compare a Roma con il nome di Veronica e nello stesso anno scompare da Costantinopoli l’immagine di Camulia (si tratta della stessa “cosa” che nei diversi posti e in tempi diversi cambia nome). Fino al 1204 quando l’impero Romano d’oriente, volgarmente detto Bizantino, era ancora potente, il Papa è restio a mostrare questa immagine ma successivamente incomincia a essere venerata ufficialmente. Nel 1300 viene indetto il primo Giubileo per venerare il Velo della Veronica e ne parla Dante nella Vita Nova: “… per vedere quella immagine benedetta la quale Jesu Cristo lasciò a noi….”. E nel XXXI canto del Paradiso: “… viene veder la Veronica nostra…”. Tutti i Giubilei successivi fino al 1600 portano i pellegrini a Roma e per ottenere l’indulgenza, il termine e il coronamento del pellegrinaggio erano la visione del volto di Cristo impresso sul velo della Veronica. Il Petrarca parlando del Giubileo del 1350 dice “Movesi il vecchierel canuto e bianco…/e viene a Roma, seguendo ‘l desio,/ per mirar la sembianza di colui /che ancor lassù nel ciel vedere spera…”.

La riproduzione degli artisti
Questa immagine è imitata dagli artisti dal XIII agli inizi del XVII secolo, poi scompare dalle opere successive. Cosa era successo? Nel 1527 i mercenari dell’imperatore Carlo V, non pagati, saccheggiano Roma rubando anche le reliquie presenti. Per più di un secolo la Chiesa cerca di nascondere il furto e, pur mettendo una gigantesca statua della Veronica in un pilastro che sostiene la cupola di San Pietro, il ricordo del Velo cade nell’oblio. Nel 1638 il Volto Santo compare, misteriosamente, a Manoppello, allora proprietà di quella famiglia Colonna, un cui esponente proprio nel 1527 aveva guidato i soldati imperiali a Roma. Nel 1718 Papa Clemente XI concede l’indulgenza plenaria a tutti i pellegrini che si recano a visitare il Santuario dove è conservata l’immagine di Cristo. Quasi dimenticato a partire dal periodo napoleonico, negli ultimi anni nuovi studi hanno identificato la perfetta sovrapponibilità del Velo con la Sindone e la sua identificazione con la Veronica Romana. Per saperne di più su questo intrigante argomento il consiglio è di leggere almeno uno dei seguenti libri:

Badde Paul, La seconda Sindone
Gaeta S., L’enigma del volto di Gesù
Chi vuole invece approfondire deve leggere:
Pfeiffer Heinrich   Il Volto Santo di Manoppello
AA.VV.  Il Volto ritrovato -  I tratti inconfondibili di Cristo.
19 novembre 2016