mercoledì 1 aprile 2015

BREVE APPENDICE STORICA SULLA VAL DI CHIENTI NELL'ALTO MEDIOEVO - Parte terza


                                                       BREVE APPENDICE STORICA
                                    SULLA VAL DI CHIENTI NELL’ALTO MEDIOEVO
                                                  (con articoli apparsi sulla stampa locale)



Ad utilità dei lettori riproduciamo quattro articoli apparsi sul periodico “Montolmo e Dintorni”, edito a Corridonia, redatti dal Prof. Giovanni Carnevale con la collaborazione dell’Arch. Riccardo Garbuglia.

DALLA NASCITA DI AQUISGRANA ALLA SUA DISTRUZIONE AD OPERA DEGLI ARABI
         (L’articolo è stato ripreso dal periodico “Montolmo e Dintorni” di Corridonia. N°6 aprile 2011)

Oggi i giornali e i mezzi di comunicazione di tutto il mondo hanno all’ordine del giorno i rapporti, delicati e spesso conflittuali, che si sono instaurati tra l’occidente e le sponde meridionale e orientale del mediterraneo.  Trecento anni dopo la caduta dell’impero romano di occidente, il primo a stabilire rapporti con i paesi di oltremare fu Carlo Magno, e furono rapporti di buon vicinato.
Le prime civiltà sono nate lungo i fiumi d’oriente.  L’oriente è sempre stato terra di contrasti e di guerre tra i popoli che lo hanno abitato, e lo testimonia la stessa Bibbia, il più antico libro della storia.  Nell’alto medioevo ci fu grande conflitto tra i califfi di Damasco e quelli di Bagdad, città che sono di strettissima attualità - la storia si ripete! -  Gli Abbassidi di Bagdad risultarono vincitori e i loro avversari Ommayadi emigrarono in Spagna, che fu conquistata all’Islam.  Si era alla metà del secolo VIII.  Tra la vincitrice Bagdad e la Val di Chienti si stabilì, via mare, un fitto interscambio commerciale: mercanti, soprattutto ebrei, facevano la spola tra Aquisgrana in Val di Chienti e l’oriente.  Se Bagdad era divenuta la capitale più importante d’oriente, Aquisgrana stava diventando, con Carlo Magno, la capitale dell’occidente.  Le guerre condotte dai Carolingi (Carlo Martello, Pipino, Carlo Magno) avevano concentrato nelle mani dei sovrani Franchi un bottino di guerra costituito da una grande massa d’oro e preziosi.  Carlo Magno impiegò questo tesoro per ridare all’occidente, essenzialmente all’Italia centro-settentrionale e all’attuale Francia, una sua capitale che potesse quasi rivaleggiare con Bagdad.  L’occidente, dopo la caduta dell’impero romano nel 476 e le successive invasioni barbariche, era precipitato in una situazione disastrosa da tutti i punti di vista: sociale, economico e organizzativo in genere.  Quanto al Piceno, era ancora fitto di rovine, a testimonianza dell’antica civiltà classica, ma non c’erano più maestranze che potessero ripristinare le gloriose tradizioni artistiche dell’antica Roma.  Queste tradizioni erano sopravvissute più a lungo proprio nell’oriente bizantino e quando l’islam conquistò la provincia di Siria, come i Romano-Bizantini chiamavano i paesi del medio oriente, si giovò delle locali maestranze per iniziare la nuova arte islamica, innestandovi anche il patrimonio culturale dell’antica Persia, oggi Iran, caduta anch’essa in loro potere.  Carlo Magno ottenne da Arun Al Rashid, califfo di Bagdad, di poter assoldare maestranze del vecchio califfato di Damasco per impegnarle nella costruzione di Aquisgrana.  Se il padre di Carlo Magno aveva creato il suo nido d’aquila sulle colline del preappennino (Sant’Angelo in Pontano – San Ginesio), Carlo Magno, animato da idee più grandiose, preferì scendere a valle e popolare la pianura del Chienti nella zona ove sorge San Claudio.   Venne così sorgendo Aquisgrana, una città senza mura, perché Carlo Magno non temeva nemici che potessero irrompere nel Piceno, ben difeso dalla catena dei Sibillini, coperti da selve pressoché impenetrabili,  né poteva temere un’invasione dal mare, dati gli ottimi rapporti che lo legavano a Bisanzio.  Era una città immersa nel verde, con gli edifici che si distanziavano tra loro di qualche centinaio di metri.  Il palatium, residenza di Carlo Magno, distava otto miglia dall’urbs (oggi la zona di Urbisaglia) e cinque miglia dall’attuale Santa Croce all’Ete.  Anche la cappella palatina, oggi pieve di san Claudio, distava certamente qualche centinaio di metri dal palatium.  Sappiamo che Carlo Magno amava andare in quella chiesa, anche di notte, percorrendo un porticato terrazzato che metteva appunto direttamente in comunicazione la sua residenza con la cappella di corte.  Per capire la struttura di San Claudio bisogna studiare le coeve architetture islamiche al di là del mare.  Alle spalle di San Claudio sorgono ancora i resti della scuola palatina, importantissima per la rinascita culturale d’Europa, perché lì furono realizzati i preziosi volumi in pergamene miniate che oggi formano l’orgoglio delle principali biblioteche dell’occidente.  Lì rinacque in Europa lo studio della Bibbia e dei capolavori dell’antica Roma.  Di lì Carlo Magno inviò in Italia e al di là delle Alpi i dignitari dell’impero col compito di ricivilizzare l’Europa, dopo essersi formati essi stessi, in Aquisgrana, alla scuola dell’inglese Alcuino e del longobardo Paolo Diacono.
Da questi pochi cenni ci si rende conto che nella Val di Chienti, e in particolare nel territorio dell’attuale Corridonia, la storia ha scritto pagine di una importanza eccezionale: senza Carlo Magno nel Piceno, l’Italia sarebbe stata travolta dalla conquista degli arabi come già era stata travolta la Spagna.  Aquisgrana non rappresentò semplicemente la rinascita del culto per Roma e per la sua storia, ma il baluardo contro possibili nuove invasioni provenienti da sud .  Nell’840 gli Arabi avevano completato la conquista della Sicilia e avevano fatto di Taranto e Bari sede di emiri, ossia di capi religiosi e militari, avamposti per la conquista dell’Italia.  Nell’881 gli Arabi giunsero effettivamente nel Piceno e distrussero Aquisgrana (ne ha raccolto la tradizione, nel 1500, il Bacci di Sant’Elpidio).  Gli invasori vi restarono solo pochi mesi perché il mondo cristiano riuscì a riorganizzarsi e respingerli fuori del Piceno.  Solo nel 915 gli arabi poterono definitivamente essere eliminati dalla penisola dagli eserciti collegati del Papa e di Alberico (battaglia del Garigliano).  In questo periodo i Papi abbandonarono Roma e vennero a fissare la sede pontificia sul territorio della distrutta Aquisgrana nel palazzo del Laterano, come allora veniva chiamata San Claudio, unico edificio che si era salvato dalla distruzione degli arabi perché trasformato in stalla per i loro cavalli.  I Papi restarono nel Laterano Piceno almeno per duecento anni.  Di questo nessuno ha saputo più nulla per secoli, rendendo inestricabile la lettura di come erano andate le cose nell’alto medioevo.  Anche i monaci farfensi nell’898 abbandonarono Farfa e la Sabina e costruirono un loro monastero-fortezza a Santa Vittoria in Matenano.  Queste notizie oggi vanno ricomponendosi tra loro, dopo gli studi da me iniziati venti anni fa.  Sono le sparse tracce di un disastroso naufragio.  Mi auguro che le mie fatiche, trascritte in una serie di otto volumi, siano meglio valutate e che una sempre più numerosa schiera di ricercatori locali faccia ulteriore luce sull’alto medioevo piceno che, per importanza storica, non ha uguali in Europa.


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